Uno dei capisaldi della cucina modenese (e non solo), il gnocco fritto è la massima espressione del cibo conviviale locale. E occhio all’articolo…
Dello gnocco, quello fritto, non ha nulla, anzi al massimo è il suo contraltare. Così come la torta fritta non condivide niente con il mondo delle torte. Si tratta semplicemente di paste fritte che sono diventate tra i cibi più sfiziosi emiliani. Lo gnocco fritto, di estrazione modenese (e reggiana) affonda le sue radici probabilmente ai tempi dall’invasione dei Longobardi in Emilia, visto che questo popolo aveva l’abitudine di utilizzare spesso nelle preparazioni culinarie la frittura con lo strutto. Lo gnocco, anzi il gnocco.
In barba a quello che abbiamo studiato fin dalla elementari, l’articolo determinativo “il” usato in luogo di “lo”, come vorrebbe la prassi della lingua italiana, non è un refuso, ma designa piuttosto una licenza dialettale ormai ammessa anche in italiano. La sua natura, comunque, si è poi affermata nella storia della cucina emiliana come momento ludico: quello legato alla convivialità, ai salumi e al Lambrusco, utile a sgrassare la bocca. Ma già dopo la metà del Novecento lo gnocco fritto rappresentava il cibo tradizionale da consumare per strada, protagonista delle feste popolari e voce regina dei menu delle osterie.
Per la sua preparazione ascoltiamo la voce perentoria di un maestro di cerimonie modenesi nonché sommo esperto di Champagne, Vincenzo Tardini. «Il gnocco impastato con acqua, farina, sale e, in base alla tensione umida dell’aria, strutto q.b., tagliato a losanghe alte 5 cm e lunghe 8, deve essere calato in una pentola, meglio se di ferro, con bordi alti almeno 13 cm perché lo strutto liquefatto al suo interno abbia un’altezza di almeno sugli 8 cm. Questa impostazione permette al gnocco di immergersi completamente nello strutto e di risalire immediatamente in superficie gonfiando solo una delle due facce, che assume forma semisferica, aspetto turgido, colore bruno scuro, mentre l’altra faccia assume una forma leggermente concava, aspetto quasi raggrinzito, colore dorato”.
“Al termine della sua risalita il pezzo di gnocco sorge dal “liquido struttuoso”, quasi ne esce, e si ribalta immediatamente appoggiandosi sul lato emisferico, girando su se stesso, terminando la sua cottura grazie alle sapienti mani della rezdora di turno che aiuta il suo roteare sul suo asse centrale. L’esame visivo basato su queste considerazioni, spesso rende superflui quello olfattivo e gustativo, dacché è foriero di tutte le informazioni utili. La presenza delle minute bollicine, quasi fistole, spesso presenti su entrambi i lati, per la mia formazione di “talebangnoccologo”, è indicazione forte al sospetto di olio di friggitura ma è anche certezza di frittura in padella bassa, senza immersione totale, con necessità di intervento manuale per dorare entrambi i lati».