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Marco Amato

Marco Amato: mai fermarsi alle apparenze

Marco Amato

Gli aneddoti e i ricordi di Marco Amato, Restaurant Manager del ristorante Imago presso l’Hotel Hassler di Roma.

Si parla da tempo di emergenza di sala, del fatto che le nuove generazioni non siano così appassionate del lavoro di sala, che lo chef è la star e la figura centrale a cui tutti ambiscono, mentre invece un fulcro importante della fortuna di un ristorante è anche e soprattutto il grande lavoro di accoglienza che si opera nella sala del ristorante, dove nasce e finisce l’esperienza principale. Abbiamo deciso di creare questa rubrica non per parlare dei soliti argomenti ma per chiedere agli uomini e attori principali di questo straordinario mestiere il loro punto di vista, la loro visione e soprattutto gli aneddoti e le curiosità che stimolano e ravvivano questo mondo.

Oggi ne parliamo con Marco Amato, Restaurant Manager del ristorante Imago presso l’Hotel Hassler di Roma.

Caro Marco, come hai iniziato questa professione e perché?
Marco Amato: Iniziai all’età di 14 anni con mio fratello maggiore. Lui aveva già lavorato stagionalmente in nord Italia, e quell’anno mi portò con sé a lavorare nel ristorante di un albergo 4 stelle a Roma, tutt’ora esistente. In quei primi anni ’90 il cameriere lavorava tutto al gueridon ed aveva una grande interazione con i clienti. Da subito, mi resi conto della grande opportunità e mi entusiasmava il fatto di poter parlare e confrontarmi con gli ospiti che provenivano da ogni parte del mondo. Era bellissimo a 14 anni scoprire nuove culture senza viaggiare. Credo sia stato proprio questo il motivo della mia scelta. Lavorare nell’accoglienza mi ha dato la possibilità, appena finiti gli studi, di viaggiare per l’Europa, e lavorando la sera e studiando le lingue la mattina, mi sono costruito un grande bagaglio di esperienze che porto ancora con me.

Il tuo bilancio di questi 33 anni di carriera qual è?
Marco Amato: Anni di lavoro ricoprendo tutte le posizioni: cameriere, barman, sommelier, maître e, soprattutto, formatore di staff. Vedere crescere i miei ragazzi è la cosa che mi rende più orgoglioso. Il bilancio in questi anni è grandioso. Chi avrebbe mai immaginato che un giorno potessi parlare della bellezza di questo mestiere.

Hai degli aneddoti, curiosità, episodi che ti piacerebbe condividere con noi?
Marco Amato: Ne avrei migliaia da poter raccontare, ma la mia professione e professionalità non mi permettono di farlo. La privacy dei clienti è un patto silente che non va mai dimenticato, da rispettare sempre. Però, ho un episodio, al quale sono molto legato e che racconto ancora oggi ai nuovi ragazzi.

Lavoravo come barman in un elegantissimo cocktail bar ed entrò un cliente molto accaldato. Vistosamente in disordine, capelli lunghi non raccolti, zainetto sulle spalle, pantaloncini corti e scarpe da ginnastica. Si sedette al banco del bar ed ordinò una birra in bottiglia fredda. Aveva un atteggiamento molto amichevole ed era piacevole parlare con lui. Apprezzò molto la birra che gli avevo proposto e mi chiese se fosse possibile acquistare diversi cartoni per portarli a casa negli States. “Nessun problema” risposi e aggiunsi “ci deve dare il tempo per organizzare una spedizione perché potrebbe avere dei problemi nell’imbarcare un tale quantitativo su un aereo di linea”. Il cliente, con estrema tranquillità disse: “Marco, la ringrazio e le assicuro che non avrò nessun problema, viaggio con il mio aereo privato”.

Racconto sempre questo episodio e lo porto come esempio, perché non bisogna mai fermarsi alle apparenze. Mai.

Adesso ti chiediamo un ricordo… il ricordo di un grande uomo o una grande donna di sala che ti ha impressionato, nel tuo lungo girovagare per ristoranti, e perché ti ha impressionato.
Marco Amato: Grazie per questa domanda. Ho diverse figure che sono state fonte di ispirazione per me e sono tutte legate all’Hotel Hassler. In particolare, Luigi Frare, il capo barman dell’Hotel Hassler e Luigi Berardi, il suo secondo. Entrai come commis di bar molto giovane. Capii subito che era una grande opportunità per me e fonte di crescita lavorare con tali maestri di accoglienza. Mi incantavo nel vederli all’opera: uomini di estrema eleganza e cultura, capaci di rendere felici reali, star di Hollywood e potenti di tutto il mondo.

Volevo diventare come loro, assolutamente. Nella stessa squadra, poi, c’era un bravissimo barman innamorato del mondo del vino, Luca Boccoli. Grazie a lui capii l’importanza dello studio e mi spinse in quella direzione. Studiai per tre anni, giorno e notte, per raggiungere il mio obbiettivo, per migliorarmi e per avvicinarmi alle loro conoscenze. Furono anni impegnativi ma bellissimi e grazie a loro esempio e supporto, sono diventato ciò che sono adesso. La figura più importante è stata, senza ombra di dubbio, la famiglia Wirth, proprietari e gestori dell’Hotel Hassler. Grazie a questa famiglia ho imparato l’inappuntabilità, la discrezione, la cortesia, l’accoglienza, la professionalità che contraddistingue tutti i dipendenti di questo storico albergo conosciuto in tutto il mondo.

La domanda più curiosa, pertinente e intrigante che ti ha fatto un cliente? E cosa hai risposto?
Marco Amato: Un cliente molto importante e facoltoso mi chiese una sera a cena: “Mi scusi, qualora volessi bere il vostro vino più importante, cosa farebbe per convincermi?”. Ci pensai solo un secondo e chiamai uno dei sommelier e, poi, rivolgendomi al cliente, gli chiesi il permesso di alzare la camicia, fino all’altezza del costato, del mio collega. Il cliente, incuriosito, acconsentì senza esitazione e rimase sbalordito quando gli mostrammo il tatuaggio: una bottiglia di vino, un “haute de gamme”. Chiaramente, il cliente scelse immediatamente quel vino, ridendo senza sosta. Durante la cena, poi, passammo lungo tempo a confrontarci sulla tipologia, qualità, caratteristiche e del corretto abbinamento vino-cibo.

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