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Il Martini Cocktail

Perché si chiama cocktail?

Il Martini Cocktail

Stati Uniti, Messico, Francia: alle origini del termine principe della miscelazione.

La prima definizione scritta del termine cocktail appare nel 1806, in un trafiletto del Balance and Columbian Repository, giornalino federatista di Hudson, nello stato di New York: “una bevanda rinvigorente composta di qualsiasi distillato, zucchero, acqua e bitter”. Le righe furono pubblicate in risposta al quesito di un lettore, che chie-deva lumi su cosa volesse dire la parola cocktail letta in precedenza: il vocabolo era infatti già largamente in uso, e aveva fatto la sua prima comparsa in stampa nel 1798, sulle pagine del Morning Post and Gazeteer di Londra. Ma da dove deriva il termine cocktail?
Certezze non ce ne sono. I riferimenti principali riconducono alla coda di un gallo
(cock’s tail), le cui piume colorate parrebbero essere state usate agli albori dell’ospitalità per guarnire i bicchieri delle osterie: la vivacità cromatica dei primi cocktail (di certo non tecnicamente perfetti all’epoca) potrebbe essere un ulteriore paragone con il piumaggio del gallo. Per questo motivo, tra l’altro, il re del pollaio è considerato uno dei simboli della miscelazione, e non è raro vederne spille o rappresentazioni in bar e locali (o tatuaggi dei bartender).
I francesi, maestri nel rivendicare la paternità delle cose, specialmente quelle non loro, guardano invece al farmacista Peychaud, stabilitosi a New Orleans e padre dell’omonimo bitter (essenziale nel Sazerac) come genitore del vocabolo, che derive-rebbe dalla tazza in cui il dottore versò del brandy per una prima idea di mixology (coquetier o coquetelle). Dall’altra parte del mondo, in Messico, si arriva a raccontare di Coqtel, dalla straripante bellezza, figlia di un sovrano azteco che tramite lei servì una bevanda miscelata a un conquistador, in segno di pace. Che si tratti di un termine africano che indica lo scorpione
(kaketal), oppure dell’abitudine centroamericana di mescolare i liquori con la coda del gallo, appunto: storia e storie che si miscelano, è il caso di dire, in una parola oggi (per fortuna) dal valore universale.

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