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I bàcari: Venezia in un bicchiere

Lo Spritz e le “ombre”, i bàcari, i cocktail bar e gli alberghi di lusso: Venezia ha tanto da dire quando si tratta di bere di qualità

Chi cerca buon bere miscelato in Italia, negli ultimi anni avrà senza dubbio messo Milano e Roma in cima alla lista delle possibili mete, con Firenze e Napoli che scalpitano e qualche chicca sparsa in giro per il territorio. Venezia rimane spesso vittima di se stessa: città monumento per eccellenza, stereotipata nell’idea di soffocante destinazione per turismo di massa e di conseguenza poco attenta alla qualità. Ebbene, la storia insegna tutt’altro.

È a Venezia, tanto per dirne una, che si sublima il cocktail mediaticamente più forte dell’ultimo decennio: lo Spritz origina proprio nei dintorni della Laguna, in nebbiosi tempi durante i quali i reggimenti austriaci di stanza in regione tendevano ad allungare i vini locali con lo “spruzzo” di acqua. La versione contemporanea più celebre prevede l’Aperol e il prosecco, per quanto i veneziani veri prediligano spesso la variante territoriale con il Select, il liquore aperitivo creato dai Fratelli Pilla nel 1920 (si omette il seltz, si guarnisce con un’oliva).

Qui, inoltre, alle spalle di Piazza San Marco, ha sede uno dei templi dell’ospitalità mondiale: l’Harry’s Bar, fondato da Giuseppe Cipriani nel 1931 e dedicato a uno studente statunitense che permise allo stesso Cipriani di avviare l’attività grazie a un cospicuo lascito.

Tra i tavolini di legno e sotto il bassissimo soffitto, Cipriani (oggi divenuto vero e proprio marchio con diramazioni a Milano, Miami, Montecarlo, tra le altre) ha firmato alcuni dei classici della gastronomia italiana nel mondo: su tutti il carpaccio, e ancora più valido per noi, il Bellini, miscela di prosecco e purea di pesche. Ernest Hemingway soleva sostare qui e l’Harry’s Bar (peraltro patrimonio UNESCO) è più volte citato nel suo “Di là del fiume e tra gli alberi“.

Radicatissima, poi, è l’immagine dei vecchi caffè in Piazza San Marco, ai cui tavolini si sono accomodati capi di stato e stelle del jet-set, in tempi meno connessi ma anche meno frenetici, per godere dello straordinario colpo d’occhio della Chiesa omonima alla piazza e mandare giù aperitivi di classe, accompagnati dalle note dei pianoforti: il leggendario Caffè Floriàn risale addirittura al 1720, è il più antico caffè del mondo e tutt’oggi, insieme al dirimpettaio Grancaffè Quadri (gestito dalla famiglia Alajmo), è uno dei punti di sosta più rincorsi della città.

Imperdibili, quasi inutile dirlo, i bàcari *(dal dialetto far bacàra, festeggiare, fare chiasso): i tradizionalissimi, e generalmente piccoli, luoghi di ristoro di quartiere, che permettono una pausa infarcita di Spritz, calici di vino (le celebri ombre) e cichèti (tapas solitamente formate da pane e farcitura).

Se alla piazza si preferisce la quiete esclusiva, invece, Venezia si fregia di una serie di alberghi di lusso trai più rinomati del mondo, ciascuno dotato di sontuosi bar preparatissimi in tema di cocktail classici: dalla mirabolante scala dell’Hotel Danieli, passando per il clamore regale del Gritti Palace, fino al storia che torna moderna all’Aman Venice, incredibile restauro all’interno di Palazzo Papadopoli, con tanto di saloni arricchiti da affreschi del Seicento.

Per un tuffo nel bere veneziano, fino a domenica 29 ottobre è di scena la terza Venice Cocktail Week, la manifestazione ideata da Paola Mencarelli (già dietro la Florence Cocktail Week, che va in scena dal 2016) che attraverso le creazioni di trentuno bar celebra le tradizioni e il futuro del bere della Serenissima con masterclass, eventi, incontri e guest shift internazionali.

*Bacàri

Secondo la teoria più comune, il nome bacàri deriva dal dio del vino, Bacco, dio del vino, mentre secondo altri il termine bacàri deriverebbe da “far bàcara“, espressione veneziana per “festeggiare”. Bacàri era l’appellativo con cui un tempo venivano chiamati tutti i vignaioli che arrivavano in piazza San Marco a Venezia con del vino da vendere. Secondo il “Dizionario del dialetto veneziano” di Giuseppe Boerio, “Bàcari” era il termine per indicare i vini scuri e amari per differenziarli dalle “malvasie” cioè dai vini tipici che provenivano dalla Grecia.

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