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Dessert da bere

La categoria dei cosiddetti dessert cocktails è notevolmente sottovalutata: cremosi e generalmente dolci, sono una goduriosa alternativa al fine pasto tradizionale, che varrebbe la pena provare almeno una volta.

Quel meraviglioso universo che è la miscelazione, ha storicamente separato i cocktail in categorie, basandole sull’orario adatto per il loro consumo: all day, pre-dinner, after dinner. Per quanto queste distinzioni siano ormai in disuso (il Negroni sarebbe nato come aperitivo, ma con la giusta pienezza del vermouth si trasforma in superlativo cocktail della buonanotte), rimane una nicchia di drink perfetti per il dopocena, quando magari si avrebbe voglia di un dessert ma lo spazio è poco: sono i dessert cocktails.

Di questi dessert da bere, la caratteristica principale è l’utilizzo della panna; le varietà reperibili oggi permettono anche esperienze “leggere”, ma stando ai ricettari tradizionali sarebbe da preferire la single cream, quindi panna intera, o la cosiddetta half&half, parti uguali di panna e latte, piuttosto comuni sul mercato anglosassone. Le proprietà schiumogene della panna permettono al cocktail finito di “gonfiarsi”, senza però creare la fascia di soffici e minuscole bollicine generate invece dall’albume o dall’acquafaba. L’accostamento naturale è con ingredienti tendenzialmente dolci e non eccessivamente complessi, ma non mancano ricette sorprendenti che si discostano dal paradigma. Di seguito tre dessert cocktail da provare almeno una volta.

Alexander

Apprezzatissimo durante gli anni della Disco (ci si creda o meno, nei club anni Settanta i dessert cocktail andavano alla grande), l’Alexander è forse l’epitome dei drink che impiegano panna al loro interno. Ancora in dubbio l’origine del nome (dedicato forse a un giocatore di baseball, a un bartender o un attore), appare già nei ricettari di inizio Novecento, stabilendone quindi il consumo antecedente.

La versione originale prevede parti uguali di gin, crème de cacao e panna, per quanto con l’andare degli anni si sia arrivati a rapporti diversi, per un risultato finale che sia di maggiore impatto alcolico e meno pesante a causa della troppa panna. La variante a base brandy (Brandy Alexander) ha riscosso ulteriore successo in tempi contemporanei, per una bevuta dai toni avvolgenti. Opzionale l’uso dell’albume.

Grasshopper

La “cavalletta”, originario della ruggente New Orleans: fu qui che nel 1919 Philibert Guichet, che aveva da poco rilevato il Tujague’s, il secondo bar più vecchio della città, creò questa mistura di panna, crème de cacao bianca e crème de menthe. Un tripudio di cremosità fresca, non dissimile dall’after eight, che raccolse consensi fin da subito ed esplose nuovamente, come per l’Alexander, tra anni Settanta e Ottanta. Tradizionalmente shakerato e servito in coppetta, rivela un risultato eccellente se preparato al frullatore, come un frappè, e degustato in un bicchiere più alto e stretto, con una cannuccia.

dessert

Ramos Gin Fizz

Impossibile non citare uno dei cocktail più leggendari della storia miscelazione. Nel 1888, Henri Charles Ramos all’Imperial Cabinet Saloon (che oggi non esiste più) indovinò questa goduriosa combinazione poi consegnata alla storia. Un gin sour (quindi con zucchero e succo di limone) arricchito dalla bomba energetica di albume e panna, e impreziosito da poche gocce di acqua ai fiori d’arancio. Stando alle cronache dell’epoca, Ramos assunse un team di venti bartender con il solo e preciso scopo di shakerare, e nulla più: per ottenere l’ormai iconica colonna di spuma che arriva ben oltre il bordo del bicchiere, la leggenda narra sarebbe necessaria una shakerata di dodici minuti. Comunque sia, un sorso di rara pienezza e soddisfazione.

Ramos Gin Fizz Dessert da bere

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