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Giancarlo Godio

Giancarlo Godio: semplice e pura stratificazione di tecnica su accostamenti

Giancarlo Godio

“Vi diranno che sono stato un caposcuola, ma io sono soltanto un uomo semplice, prigioniero di una dolce ossessione: quella dei sapori”.

Giancarlo Godio, una cucina indimenticabile

Siamo nei primi anni ‘70, in uno scenario culinario italiano dove l’unico deus ex machina è l’integerrimo sapere delle massaie. Specularmente, la genesi di Giancarlo Godio parte da più lontano, a Parigi. Immerso nella brulicante capitale dell’alta ristorazione, lo chef avverte sin da subito che quella per la cucina è una sorta di predestinazione e torna in Italia.

Insieme alla moglie Elizabeth si stanzia a Fontana Bianca nella Val d’Ultimo, una località di montagna inaccessibile e isolata. Proprio qui, Giancarlo Godio prende in gestione la mensa dell’Enel dove interrompe la distribuzione in serie di anonime paste al sugo e cotolette. In una saletta appartata, nasce la Genziana. Il locale più che un ristorante, è il companatico di un riservatissimo cuoco ossessionato dai sapori. E sarebbe rimasto tale se non fosse che un fatto di cronaca nera punta le telecamere su quelle valli. I giornalisti si riversano per le strade impervie cercando riparo dall’inverno rifugiandosi nella mensa di Giancarlo Godio.

Ben presto quel trompe-l’œil di lamiere verdi insorge a cucina indimenticabile in un posto dimenticato. Le Guide dell’Espresso lo segnala come uno dei migliori ristoranti d’Italia con il punteggio di 16/20 e i ricchi e famosi pretendono avidamente un posto alla Genziana. Tra questi, Enzo Ferrari, Reinhold Messner, Giulio Andreotti. Giancarlo Godio fu prima pensatore e, poi, irriducibile eremita gastronomico. Suggella un patto agro-pastorale con la montagna mediante quella cucina che pur raccontando il passato, sperimentava un nuovo futuro.

Per Giancarlo Godio ogni preparazione è l’intento di assoggettare le tradizioni ai puri tecnicismi della haute cuisine. Nessun effetto speciale, semplice e pura stratificazione di tecnica su accostamenti. Una filosofia circolare che si presta a far evolvere i suoi stessi capisaldi. Come quella zuppa contadina ripensata per ristabilire la supremazia della cottura sull’ingrediente oppure il budino di baccalà, lumache in umido con finferli o ancora il ceppo del cannibale: un pezzo di faggio scorticato su cui viene avvolta e cotta la carne che poi va gustata come fosse una pannocchia.

La storia di questo cuoco è una storia conchiusa: il 13 ottobre 1994 Giancarlo Godio è su un piccolo velivolo di ritorno dall’Istria. Il Trinitad TB20 si schianta contro la parete rocciosa del Campomolon. Moriranno tutti e tre i passeggeri a bordo. Nella languida solitudine della montagna finisce ciò che era iniziato.

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