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Il Martini Cocktail

Martini Cocktail: Non tutti i Martini sono Martini

Il Martini Cocktail

Il Martini Cocktail è uno dei drink più riconoscibili e noti al mondo, assurto per certi versi a simbolo della miscelazione. Ma non sempre il suo nome indica la sua vera essenza.

Doverosissima nozione d’apertura: il Martini Cocktail non ha nulla a che vedere con l’omonima azienda torinese di liquoristica. O quanto meno, non necessariamente: la ricetta di questo cocktail così famoso e maledetto è talmente umorale, eterea e personale che non esiste un vero e proprio dosaggio codificato.

Canonicamente si compone di gin e vermouth secco (di cui Martini&Rossi è produttrice), in rapporti che variano a seconda dello stato d’animo, del gusto, dei desideri: l’immancabile Hemingway beveva il cosiddetto Montgomery Martini (quindici parti di gin, una di vermouth, come il rapporto di superiorità che il generale inglese Bernard Law Montgomery cercava di ottenere sul campo di battaglia tra i suoi uomini e i nemici), Winston Churchill al vermouth faceva solo un inchino, senza impiegarlo (sì, gin liscio). Una sola certezza: il Martini Cocktail dev’essere freddissimo.

Vario anche nelle decorazioni, che a volte cambiano l’essenza del cocktail fino a modificarne il nome: una scorza di limone con relativi olii essenziali espressi, oppure un’oliva, che se porta con sé la propria salamoia lo trasforma in Dirty Martini. Stupenda la variante con una cipollina in agrodolce (il cosiddetto Gibson).

Il Martini Cocktail

Il Martini Cocktail evolve da ricette precedenti (siamo a cavallo tra Ottocento e Novecento), che recitavano ingredienti come vermouth dolce, maraschino, assenzio: i vari Martinez, Turf, Tuxedo, tutt’oggi osannati dai bartender contemporanei, sono chicche classiche da assaggiare almeno una volta nella vita, non solo perché oggettivamente deliziose, ma anche perché testimoni di gusti e usi d’altri secoli, rispolverati in anni recenti.

Occhio però a non lasciarsi ingannare dal nome: il Martini Cocktail porta in dote l’ormai inconfondibile coppetta, che soprattutto tra anni Ottanta e Novanta fu sufficiente a chiamare martini qualsiasi miscela venisse servita nello stesso bicchiere. L’Espresso Martini, leggendaria ideazione dell’altrettanto leggendario (e compianto) Dick Bradsell, del Martini originale non ha nulla se non appunto la coppetta: vodka, caffè espresso e liquore al caffè, per l’effetto wake up and fuc* up che secondo gli aneddoti una modella londinese avrebbe chiesto al bartender. Il Pornstar Martini, mattatore dell’ultimo decennio, si compone anche di frutto della passione e uno shot di Champagne a parte.

Per i cinefili, ma in realtà per tutti: anche quello preferito da James Bond è in realtà un Martini ibrido. Vodka, gin e il famigerato kina lillet (oggi non più prodotto, al suo posto si utilizza il Lillet Blanc) danno vita al Vesper Martini, dedicato alla musa maledetta di 007. Una creazione autonoma dello scrittore Ian Fleming, ma entrata a tal punto nell’immaginario collettivo (e nelle bottigliere del mondo) da essere poi registrata nella lista IBA, la Bibbia della miscelazione globale firmata dalla International Bartenders Association. Va da sé, agitato, non mescolato.

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