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Gli attrezzi del mestiere

Che siate appassionati o bevitori occasionali, quando ci si siede al bancone di un bar è facile imbattersi in termini e strumentazioni non immediate, per i non addetti al mestiere. Ecco una piccolissima guida per saperne di più.

Come per ogni mestiere, quella del bartender nasconde un linguaggio compreso (quasi) soltanto dagli addetti ai lavori. Senza entrare nello specifico di termini relativi all’operatività vera e propria (sentirete qualcuno esclamare dietro! oppure pass! di tanto in tanto), di seguito trovate una mini-lista con alcuni dei vocaboli più utilizzati al bancone, così da potervi immedesimare ancora di più nella meravigliosa esperienza che è il bar.

Jigger

mestiere

Strumento del mestiere ormai fondamentale nell’arsenale dei bartender, si tratta del misurino con cui vengono dosati gli ingredienti dei cocktail. Prende il nome dal jiggermast, la vela più piccola dei vascelli della Marina Reale Britannica, dove pare per primo venne utilizzato per misurare le razioni di rum a bordo (probabilmente ritenute insufficienti dai marinai).

Si può trovare di innumerevoli dimensioni e capienze, per quanto il più comune, a forma di clessidra, è composto da due misuratori graduati di 30ml e 60ml. Pur non apprezzatissimo dai puristi, che preferirebbero sempre versare “a mano libera” (free pour), è una componente fondamentale del rinascimento miscelato degli ultimi anni, che si basa su precisione dell’esecuzione e bilanciamento perfetto tra gli elementi di un cocktail. I drink realizzati versando gli ingredienti direttamente nel bicchiere di servizio, sono eseguiti con la tecnica build.

Shaker

L’attrezzo simbolo del mestiere dei bartender nell’immaginario collettivo, è quello nel quale si miscelano cocktail che all’interno riportano succhi o ingredienti schiumogeni (panna, albume, aquafaba), e per questo necessitano di incorporare aria per poter esprimere il massimo del proprio potenziale aromatico: richiedono anzi una doppia shakerata, una delle quali senza ghiaccio, la dry shake. Esistono tre tipologie di shaker che vanno per la maggiore, tutte ormai in alluminio: il Cobbler, composto da tre pezzi (corpo, coperchio e tappo con filtro incorporato), il Boston, composto da due coni che si incastrano e sigillano, e il Parisienne, dal coperchio più largo e svasato, una sorta di ibrido. Ricette iconiche come Daiquiri e Margarita si realizzano con la tecnica shake.

Mixing Glass

shutterstock 2026878452 Gli attrezzi del mestiere

È il “bicchierone” di vetro nel quale si miscelano generalmente i cocktail composti di soli prodotti alcolici (distillati, liquori, vini fortificati), che necessitano quindi soltanto di amalgamarsi e raffreddarsi, senza incorporare aria (la cosiddetta tecnica stir). Negli ultimi anni sono stati immessi sul mercato mixing glass in alluminio o acciaio, materiali di maggior conduzione che permettono quindi un raffreddamento più rapido. Il grosso “cucchiaio” con cui i bartender mescolano liquidi e ghiaccio si chiama bar spoon, mentre l’apposito filtro che viene applicato all’imbocco del mixing glass per travasare il cocktail finito nel bicchiere è denominato strainer.

Garnish

È la guarnizione che rifinisce, e molto spesso definisce, il cocktail. Non pensate si tratti di solo vezzo artistico: la stragrande maggioranza delle ricette prevede una guarnizione che contribuisce sostanzialmente al risultato finale. Le scorze di agrumi (limone, arancia, pompelmo, i cosiddetti twist), ad esempio, vengono depositate nel bicchiere solo dopo aver espresso i loro olii essenziali, che vanno a creare un certo impatto olfattivo (e sensoriale in generale) nell’esperienza di bevuta. Lo stesso dicasi per le iconiche olive del Martini Cocktail, o per la fettina d’arancia nel Negroni.

On the Rocks

È l’espressione che si usa per indicare i cocktail, o le porzioni di distillato lisce, servite “su ghiaccio”. Questo tipo di costruzione si utilizza per drink che necessitano di ulteriore (lenta) diluizione dopo essere stati miscelati, generalmente dovuta al tenore alcolico rilevante della ricetta: si vedano cocktail come l’Old Fashioned o il Rusty Nail. Nella miscelazione contemporanea si utilizzano spesso singoli cubi di ghiaccio piuttosto grandi, che garantiscono quindi una diluizione controllata e un piacevole effetto estetico: ci si riferisce ad essi con il termine chunk. Ai cocktail “on the rocks” si contrappongono quelli straight up (o up), in coppetta e senza ghiaccio, che richiedono di solito meno tempo per essere bevuti.

Last call

L’ultimo giro: viene generalmente comunicato circa un’ora prima dell’orario di chiusura, per permettere agli ospiti di effettuare un ultimo ordine e dare loro agio di consumarlo in tranquillità. È solitamente segnalato ai singoli ospiti dai bartender o dal personale di sala, ma non è raro vedere cocktail bar che sanciscono il last call con qualche espediente scenografico come il suono di una campanella o simili, salutato dagli scherzosi commenti di disapprovazione degli avventori.

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